"UNA LETTURA DELL'IMMAGINE DELLA MADONNA DELL'IMPRUNETA"
Testo di Mons. Luigi Oropallo Proposto della Basilica Santuario della Madonna dell'Impruneta.
L'ICONA
Le icone erano dipinte su tavole di legno, generalmente di tiglio, larice o abete. Sul lato interno della tavoletta di solito era effettuato uno scavo che veniva chiamato “scrigno” o “arca”, in modo da lasciare una cornice in rilievo sui bordi. La cornice, oltre a proteggere la pittura, rappresenta lo stacco tra il piano terrestre e quello divino in cui viene posta la raffigurazione. Sulla superficie della tavola veniva incollata una tela, con colla di coniglio, che serviva ad ammortizzare i movimenti del legno rispetto agli strati superiori. La tela veniva infatti ricoperta con diversi strati di colla di coniglio e gesso, che opportunamente levigati con pelle di pesce essiccata o carte vetrate, consentivano di ottenere una superficie perfettamente liscia e levigata, adatta ad accogliere la doratura e la pittura.
Dopo aver eseguito questa preparazione si iniziava a tratteggiare il disegno. La stesa della pittura era preceduta da uno schizzo tracciato per definire gli elementi che costituivano la della rappresentazione. Si iniziava con la doratura di tutti i particolari (bordi dell’icona, pieghe dei vestiti, sfondo, aureola o nimbo). Quindi si cominciava col dipingere i vestiti, gli edifici e il paesaggio. Le ultime pennellate venivano effettuate colla pura biacca; l’effetto tridimensionale veniva reso da tratti più scuri, distribuiti in modo uniforme.
Particolare cura assume la lavorazione dei volti. In genere si parte da una base di colore scuro cui vengono sovrapposti strati di schiarimento con toni più chiari. Successivamente dei balenii di luce chiari, ottenuti con l'ocra mescolata alla biacca, erano posti sulle parti in rilievo del volto: zigomi, naso, fronte e capelli. Veniva steso inoltre un velo sottile di vernice rossa attorno alle labbra, sulle guance e sulla punta del naso. Infine, con una vernice marrone chiara si ripassa il disegno (graphia): i bordi, gli occhi, le ciglia ed eventualmente i baffi o la barba.
l colori erano ottenuti da sostanze naturali, vegetali o minerali, oppure da piccoli processi chimici, come fare ossidare i metalli. Pestati a mortaio, macinati finemente, essi sono uniti al tuorlo dell’uovo che agisce da legante.
Le icone non riportano il nome del loro artefice: la teologia riteneva le icone opere di Dio stesso, realizzate attraverso le mani dell’iconografo: risultava dunque inopportuno porre sull'icona il nome della persona di cui Dio si sarebbe servito.
Le icone erano dipinte su tavole di legno, generalmente di tiglio, larice o abete. Sul lato interno della tavoletta di solito era effettuato uno scavo che veniva chiamato “scrigno” o “arca”, in modo da lasciare una cornice in rilievo sui bordi. La cornice, oltre a proteggere la pittura, rappresenta lo stacco tra il piano terrestre e quello divino in cui viene posta la raffigurazione. Sulla superficie della tavola veniva incollata una tela, con colla di coniglio, che serviva ad ammortizzare i movimenti del legno rispetto agli strati superiori. La tela veniva infatti ricoperta con diversi strati di colla di coniglio e gesso, che opportunamente levigati con pelle di pesce essiccata o carte vetrate, consentivano di ottenere una superficie perfettamente liscia e levigata, adatta ad accogliere la doratura e la pittura.
Dopo aver eseguito questa preparazione si iniziava a tratteggiare il disegno. La stesa della pittura era preceduta da uno schizzo tracciato per definire gli elementi che costituivano la della rappresentazione. Si iniziava con la doratura di tutti i particolari (bordi dell’icona, pieghe dei vestiti, sfondo, aureola o nimbo). Quindi si cominciava col dipingere i vestiti, gli edifici e il paesaggio. Le ultime pennellate venivano effettuate colla pura biacca; l’effetto tridimensionale veniva reso da tratti più scuri, distribuiti in modo uniforme.
Particolare cura assume la lavorazione dei volti. In genere si parte da una base di colore scuro cui vengono sovrapposti strati di schiarimento con toni più chiari. Successivamente dei balenii di luce chiari, ottenuti con l'ocra mescolata alla biacca, erano posti sulle parti in rilievo del volto: zigomi, naso, fronte e capelli. Veniva steso inoltre un velo sottile di vernice rossa attorno alle labbra, sulle guance e sulla punta del naso. Infine, con una vernice marrone chiara si ripassa il disegno (graphia): i bordi, gli occhi, le ciglia ed eventualmente i baffi o la barba.
l colori erano ottenuti da sostanze naturali, vegetali o minerali, oppure da piccoli processi chimici, come fare ossidare i metalli. Pestati a mortaio, macinati finemente, essi sono uniti al tuorlo dell’uovo che agisce da legante.
Le icone non riportano il nome del loro artefice: la teologia riteneva le icone opere di Dio stesso, realizzate attraverso le mani dell’iconografo: risultava dunque inopportuno porre sull'icona il nome della persona di cui Dio si sarebbe servito.
GLI ANGELI
Nella parte superiore dell'Icona sono rappresentati due angeli, disegnati a testa in giù. Sono capovolti proprio per indicare la loro provenienza: il cielo; dal cielo sembra che si slancino verso la terra.
La parola “angelo” significa “messaggero”; l'iconografia dell’angelo alato compare solo a partire IV sec. D.C., in precedenza era rappresentato come un efebo (un giovane non più bambino) vestito con una tunica. A partire dal sec. XII gli angeli vengono rappresentati con testa riccioluta, ali, quasi incorporei. Nell'arte bizantina gli angeli hanno a volte un’aureola dorata e reggono qualcosa in mano; nella nostra Icona entrambi hanno in mano un libro aperto su cui è riportata la scritta: «Gloria in excelsis Deo».
Il rapporto fra il cielo e la terra è proprio del linguaggio della Icona: la luce scende dall'alto, proviene da Dio e dà il senso all'immagine rappresentata. Qui sembra che, con le loro ali, gli angeli tengano sospeso il fondale posto dietro al trono dove siede la Madonna. Il fondale ha l’aspetto di un panneggio che sembra raffigurare la grazia di Dio che viene comunicata a Maria.
Nella parte superiore dell'Icona sono rappresentati due angeli, disegnati a testa in giù. Sono capovolti proprio per indicare la loro provenienza: il cielo; dal cielo sembra che si slancino verso la terra.
La parola “angelo” significa “messaggero”; l'iconografia dell’angelo alato compare solo a partire IV sec. D.C., in precedenza era rappresentato come un efebo (un giovane non più bambino) vestito con una tunica. A partire dal sec. XII gli angeli vengono rappresentati con testa riccioluta, ali, quasi incorporei. Nell'arte bizantina gli angeli hanno a volte un’aureola dorata e reggono qualcosa in mano; nella nostra Icona entrambi hanno in mano un libro aperto su cui è riportata la scritta: «Gloria in excelsis Deo».
Il rapporto fra il cielo e la terra è proprio del linguaggio della Icona: la luce scende dall'alto, proviene da Dio e dà il senso all'immagine rappresentata. Qui sembra che, con le loro ali, gli angeli tengano sospeso il fondale posto dietro al trono dove siede la Madonna. Il fondale ha l’aspetto di un panneggio che sembra raffigurare la grazia di Dio che viene comunicata a Maria.
LA MADONNA
La Madonna ha un viso ovale, lo sguardo dolce, il naso dritto, labbra piccole e vermiglie, mento rotondo, lunghe mani.
Sappiamo che il viso è l’espressione dell’anima (intesa come luogo dell’incontro con Dio: ovvero il cuore). La forma ovale del volto è simbolo del crogiolo, all'interno del quale la materia viene trasformata in oro. L’oro che circoscrive l’immagine è il segno distintivo dell’evento divino che tutto avvolge.
Sulla testa è posta una corona che definisce la regalità della persona rappresentata e di come essa ha saputo rispondere con tutta sé stessa alla sua vocazione.
Il volto della Madonna è sereno, ieratico. Il volto della Madonna esprime la pienezza della soddisfazione. E il suo sguardo è “a tutto giro”, caratterizzato da un lieve “strabismo”come a indicare che lo sguardo della Madre ci raggiunge ovunque siamo.
I suoi capelli sono raccolti, segno distintivo delle donne sposate; tuttavia Maria è anche la "sempre vergine": i suoi capelli appaiono sciolti lungo le spalle, simbolo appunto della sua verginità. Anche il capo coperto è indice della condizione matrimoniale della donna.
La Corona ha un suo preciso significato: più che posata sul capo, sembra essere adagiata. I colori sono quelli della regalità divina (il celeste) e della bellezza femminile (il rosso).Diversamente dal Bambino Gesù, Maria e gli angeli non ha l’aureola evidente: essa è tratteggiata leggermente sullo sfondo dorato.
La Madonna ha un viso ovale, lo sguardo dolce, il naso dritto, labbra piccole e vermiglie, mento rotondo, lunghe mani.
Sappiamo che il viso è l’espressione dell’anima (intesa come luogo dell’incontro con Dio: ovvero il cuore). La forma ovale del volto è simbolo del crogiolo, all'interno del quale la materia viene trasformata in oro. L’oro che circoscrive l’immagine è il segno distintivo dell’evento divino che tutto avvolge.
Sulla testa è posta una corona che definisce la regalità della persona rappresentata e di come essa ha saputo rispondere con tutta sé stessa alla sua vocazione.
Il volto della Madonna è sereno, ieratico. Il volto della Madonna esprime la pienezza della soddisfazione. E il suo sguardo è “a tutto giro”, caratterizzato da un lieve “strabismo”come a indicare che lo sguardo della Madre ci raggiunge ovunque siamo.
I suoi capelli sono raccolti, segno distintivo delle donne sposate; tuttavia Maria è anche la "sempre vergine": i suoi capelli appaiono sciolti lungo le spalle, simbolo appunto della sua verginità. Anche il capo coperto è indice della condizione matrimoniale della donna.
La Corona ha un suo preciso significato: più che posata sul capo, sembra essere adagiata. I colori sono quelli della regalità divina (il celeste) e della bellezza femminile (il rosso).Diversamente dal Bambino Gesù, Maria e gli angeli non ha l’aureola evidente: essa è tratteggiata leggermente sullo sfondo dorato.
Il manto di Maria, il così detto maphorion, è di colore viola: la tradizione bizantina attribuisce a questo colore un significato di “totalità”. Deriva infatti dall'unione di due colori fondamentali opposti: il rosso (caldo) e il blu (freddo), ottenuti in pittura con il cinabro (che rappresenta l’elemento “fuoco”) e il lapislazzulo (che rappresenta l’elemento “acqua”). Da ciò il carattere tipicamente regale di questo colore.
La porpora antica era derivata da una specie di mollusco oggi estinto: il Murex Trunculus; secondo la descrizione di Plinio, la porpora è una sostanza che, una volta disseccata, si separa in due componenti: una azzurra e una rossa. Ciò spiega il famoso effetto cangiante dei tessuti tinti con essa: presentavano infatti riflessi che andavano dal rosso all'azzurro. Il valore simbolico è pertanto intuibile come misteriosa unione degli opposti in una totalità. Nelle icone della Madre di Dio il maphorion può assumere le diverse gradazioni della porpora, ove prevalga il rosso o l’azzurro. Le guarnizioni che decorano il vestito dicono la nobiltà e la regalità della persona; sono preziose e sobrie. Le troviamo sul velo che esce dalla Corona, sul vestito e sul mantello. Anche il trono sembra essere ornato da questa stessa guarnizione. La base del trono poggia su un basamento a forma esagonale, che porta sul fronte un fregio che sembra essere la porta di uno scrigno.
La porpora antica era derivata da una specie di mollusco oggi estinto: il Murex Trunculus; secondo la descrizione di Plinio, la porpora è una sostanza che, una volta disseccata, si separa in due componenti: una azzurra e una rossa. Ciò spiega il famoso effetto cangiante dei tessuti tinti con essa: presentavano infatti riflessi che andavano dal rosso all'azzurro. Il valore simbolico è pertanto intuibile come misteriosa unione degli opposti in una totalità. Nelle icone della Madre di Dio il maphorion può assumere le diverse gradazioni della porpora, ove prevalga il rosso o l’azzurro. Le guarnizioni che decorano il vestito dicono la nobiltà e la regalità della persona; sono preziose e sobrie. Le troviamo sul velo che esce dalla Corona, sul vestito e sul mantello. Anche il trono sembra essere ornato da questa stessa guarnizione. La base del trono poggia su un basamento a forma esagonale, che porta sul fronte un fregio che sembra essere la porta di uno scrigno.
La mani della Madonna sono grandi rispetto a tutto l'insieme; la destra tiene stretta la piccola mano di Gesù nell'atto di benedire; è come di sostegno al bambino, ma al tempo stesso tradisce una grande intimità: la stessa intimità fiduciosa che fa pronunciare a Maria le sue ultime parole riportate dai Vangeli, pronunciate a Cana di Galilea: «fate quello che lui vi dirà». Un fazzoletto le passa attraverso le dita della mano sinistra e le avvolge il dito pollice; le matrone portavano il fazzoletto quale segno del loro prestigio; esso è anche un distintivo regale; nella nostra Immagine il fazzoletto che si avvolge attorno al dito assume l'aspetto di un anello nuziale. Lei è la Sposa, lei è la Madre, lei è anche la Vergine.
GESU' BAMBINO
Il volto del Bambino è sereno e deciso, il suo sguardo è rivolto lontano; egli è ben posato sulle ginocchia della Madonna e stretto fra le sue braccia: Maria sembra essere il suo vero trono; essa lo sostiene sul suo grembo e lo trattiene dolcemente con la mano destra.
La testa del Bambino è allineata perpendicolarmente al di sotto di quella della Madre al livello del seno.
È in posizione eretta, anche se si appoggia a Maria; le gambe sono piegate, perché tutto il corpicino è appoggiato alla Madre: sembra stare al contempo seduto e in piedi, come a dire che è già “adulto”. Anche la posizione dei piedi è particolare: è dinamica, indica un movimento, ma al tempo stesso la stabilità; sembra che voglia camminare, anche se la mano della Madonna lo trattiene.
Ha un vestito semplice ma regale. Una manina è stretta dalla Madre, mentre con l’altra tiene un piccolo scettro che ha quasi l’aspetto di una pergamena arrotolata. Anche lui ha uno sguardo sicuro, come se dovesse parlare, dire un qualcosa di importante.
La mano della Madonna, che lo trattiene, è un invito alla totale fiducia in lei, come un bimbo che sta in braccio alla sua mamma.
Notiamo anche le pieghe del vestito, che è di colore bianco come segno della sua innocenza e purezza.
Diversamente da altre immagini della Madonna con il Bambino benedicente, questa icona ha un particolare interessante: la mano del Bambino è afferrata dalla Madre, quasi a sostenerla nel gesto della benedizione. Qui Maria sembra avere il ruolo di mediatrice dei Grazie. È attraverso Lei, la sua stessa fede e il suo amore, che si viene a contatto con Dio, e quindi è per suo tramite che abbiamo la divina benedizione. L’altra mano del bambino tiene stretto il rotolo della Parola ed è posto alla stessa altezza dell'altra mano: come a dire che la benedizione è frutto dell’ascolto della parola racchiusa nel piccolo rotolo.
Il volto del Bambino è sereno e deciso, il suo sguardo è rivolto lontano; egli è ben posato sulle ginocchia della Madonna e stretto fra le sue braccia: Maria sembra essere il suo vero trono; essa lo sostiene sul suo grembo e lo trattiene dolcemente con la mano destra.
La testa del Bambino è allineata perpendicolarmente al di sotto di quella della Madre al livello del seno.
È in posizione eretta, anche se si appoggia a Maria; le gambe sono piegate, perché tutto il corpicino è appoggiato alla Madre: sembra stare al contempo seduto e in piedi, come a dire che è già “adulto”. Anche la posizione dei piedi è particolare: è dinamica, indica un movimento, ma al tempo stesso la stabilità; sembra che voglia camminare, anche se la mano della Madonna lo trattiene.
Ha un vestito semplice ma regale. Una manina è stretta dalla Madre, mentre con l’altra tiene un piccolo scettro che ha quasi l’aspetto di una pergamena arrotolata. Anche lui ha uno sguardo sicuro, come se dovesse parlare, dire un qualcosa di importante.
La mano della Madonna, che lo trattiene, è un invito alla totale fiducia in lei, come un bimbo che sta in braccio alla sua mamma.
Notiamo anche le pieghe del vestito, che è di colore bianco come segno della sua innocenza e purezza.
Diversamente da altre immagini della Madonna con il Bambino benedicente, questa icona ha un particolare interessante: la mano del Bambino è afferrata dalla Madre, quasi a sostenerla nel gesto della benedizione. Qui Maria sembra avere il ruolo di mediatrice dei Grazie. È attraverso Lei, la sua stessa fede e il suo amore, che si viene a contatto con Dio, e quindi è per suo tramite che abbiamo la divina benedizione. L’altra mano del bambino tiene stretto il rotolo della Parola ed è posto alla stessa altezza dell'altra mano: come a dire che la benedizione è frutto dell’ascolto della parola racchiusa nel piccolo rotolo.
"L'AUTENTICITÀ DELLA MADONNA DELL'IMPRUNETA"
Testo di Ferdinando Rossi, tratto dal fascicolo "Basilica di S.Maria - Impruneta - Sei secoli di storia: una città, un paese, una Madonna" stampato in occasione della traslazione della Venerata Immagine del 1988 per l'Anno Mariano e per il Sinodo della Chiesa fiorentina.
PREMESSA
In anni recenti sono stati sollevati dubbi sull'autenticità della Venerata Immagine della Madonna dell'Impruneta. La polemica sulla sua originalità è nata a seguito del rinvenimento e della pubblicazione di un documento antico nel quale si sostiene che l'icona della Madonna dell'Impruneta sarebbe in realtà opera del pittore Ignazio Hugford, eseguita nella metà del Settecento, e che nulla sarebbe rimasto della pittura originale. Il documento riferisce inoltre del presunto comportamento truffaldino del pievano dell'epoca il quale fa segretamente ridipingere la Madonna per ingannare le autorità dell'epoca ed evitare che venga compromesso il culto della Madonna dell'Impruneta. Tale documento ha malauguratamente trovato un certo credito anche nell'ambiente degli studiosi. Già l'Arch. Ferdinando Rossi, responsabile della ricostruzione e del restauro post-bellico della Basilica confermava l'autenticità dell'Icona della Madonna, sulla base sia degli esami radiografici condotti sulla tavola che sul rinvenimento di materiale documentale relativo ad un precedente restauro dell'Icona svolto fra il 1917 ed il 1925 dal pittore Fabrizio Lucarini (vedi la voce "Il restauro del tempietto della Madonna" contenuto nel libro "Impruneta" di Don Vasco Bianchini). I recenti interventi di restauro dell'icona, avvenuti nel 2011 e nel 2013 hanno permesso tuttavia di chiarire con certezza che quanto affermato dal documento è falso. È vero che nel Settecento il pittore Ignazio Hugford intervenne sull'icona, ma non per ridipingerla, bensì per attuare un intervento di restauro che, per quanto importante, è risultato assai rispettoso dell'originale; le accurate indagini condotte sull'icona con i mezzi che la tecnica mette oggi a disposizione dei restauratori (luce radente, riprese radiografiche, indagini in luce ultravioletta e infrarossa, indagini chimiche e fisiche, ecc.) ha consentito di convalidare l'originalità del dipinto, che risale al XII secolo (ma tracciato probabilmente sulla base di un modello ancora più antico del V-VI secolo) e di mettere in evidenza le aree del dipinto che sono state oggetto in passato di interventi di restauro.
Prima ancora che fossero disponibili queste indagini scientifiche, lo scrittore imprunetino Ferdinando Rossi aveva già confutato con questo articolo la tesi sostenuta nel documento, basandosi su argomenti storici e documentali. Riportiamo pertanto volentieri questo interessante contributo.
Sulla polemica in atto circa I‘autenticità o meno della pittura relativa alla Tavola della Madonna dell'Impruneta, desidero esporre i risultati di una ricerca storica rivolta a convalidarne l'autenticità, peraltro confortata da recenti esami radiografici. Questa era stata messa in dubbio dopo il ritrovamento di uno scritto pubblicato anche recentemente in occasione della inaugurazione del museo del Tesoro di Santa Maria all’Impruneta [1987], che riporto integralmente:
"il conte Richecourt, supremo comandante per l’Imperatore Francesco l di Lorena e granduca di Toscana, e avendo sentito celebrare la Madonna dell’Impruneta per i miracoli fatti e per le grazie ricevute dai fedeli, desiderò di vederla, e a tal uopo fece avvisare il Pievano dei Marchesi Giugni che in un determinato giorno sarebbe andato all’Impruneta, e ciò segui nell'anno 1758. Il prudente Pievano sentita l'importanza di una tal visita crede' suo dovere di vederla prima di lui (giacché ab antiquo nessuno l'aveva veduta e molto più scoperta, avendo questa immagine sette mantelline una sopra all’altra) quindi è che a chiesa serrata, e segretamente la fece scoprire; ma qual fu la sua sorpresa trovando una asse quasi nera, sopra la qual credesi fosse dipinta, e che non distingueasi neppure le traccie della sopposta Madonna. In tal emergenza qual partito prendere? Si e il Conte di Richecourt la vede, è certo che faceva bruciare I’asse, e la devozione alla Madonna dell’Impruneta sarebbe cessata fino dal quel tempo, il migliore fu quello di farla subito ridipingere, e fu scelto per quest'effetto il signore Ignazio Hugford, che oltre a essere stato un buon pittore dei suoi tempi, univa eziandio molta religione, e pietà come attestano i suoi discepoli da me benissimo conosciuti; il quale portatosi alla Impruneta in casa del Pievano Giugni, dipinse la Madonna con Bambino Gesù nella maniera antica e cosi fu rimediato a questo inconveniente, senza scandalo, ed è quella che tuttora esiste in detta chiesa creduta popolarmente dipinta da San Luca".
In netto contrasto con quanto afferma questo documento, è quanto si legge nel volume "Firenze dopo i Medici" (ed. R. Bemporad e figlio, Firenze 1921) di Giuseppe Conti:
«Per le continue insistenti piogge specialmente dal 1° Dicembre, (1758) il dì 6 I’Arno, un’ora dopo la mezzanotte, crebbe di tal sorta che tutte le fogne dettero fuori e I’acqua allagò dalla Piazza del grano fino alla Porta della dogana. ... Si era pensato anche di far portare di nuovo a Firenze la Madonna dell’Impruneta ... Non fu sordo a tanta calamità il Pievano dell’Impruneta Marchese Ottavio Giugni, il quale, col consenso del Senatore Francesco Buondelmonti, patrono di detta chiesa, "domando ed ottenne grazia dalla Reggienza di scoprire la Sacra Immagine che da immemorabile tempo non era stata scoperta; dimodoché ciascuno adorava per l’avanti con fede, non sapendo ciò che racchiuso stava in quel tabernacolo. Fu affisso per la città i cartelli di un tale scoprimento da seguirsi nelle prima festa di Natale fino all’ultima festa".
Cosicché il Pievano Giugni - il 24 Dicembre 1758 - "fece levare tutti quei mantellini, e altro che mai si toccava". Le gioie che erano poste nel mantellino antico che stava sotto gli altri e che gli rimaneva quando quelli si levavano, senza mai scoprir l’immagine, il Giugni le fece mettere sul petto della Santissima Vergine; e postovi sopra un cristallo, la fece esporre alla pubblica vista all’altar maggiore. Il giorno dopo Ceppo fu il primo dei quattro giorni nei quali la Madonna venne scoperta ed esposta. Non si può descrivere il gran concorso di pubblico che in detto tempo andò in visita all’Impruneta non solo da Firenze, "ma da tutte le parte dello Stato".»
Questo non direbbe ancora niente, poiché nel documento precedente non si indica in qual giorno del 1758 il pittore giunse a Impruneta.
Ma sentiamo quant’altro ci racconta il Conti:
«La mattina del 6 Aprile 1757 venne a Livorno la notizia che il marchese senatore Carlo Ginori - Governatore di quella città fino dal 1747 era stato colpito da un accidente ... mori il di 11 successivo».
Prima di questo evento, anche il Rochecourt era stato evidentemente colpito da accidente, cosi come si evince dal seguito del racconto del Conti:
«Antecedentemente alla morte del Ginori, dopo il primo accidente il Rochecourt fu favorito da altri due ... ma il terzo colpo, più forte degli altri, per quanto gli lasciasse la mente libera, lo fiaccò in modo che non poté riprendere la primitiva attività né dedicarsi agli affari di Stato ... e così fu costretto a domandare la dimissione dal Governo, che venne accettata concedendogli il permesso di tornarsene in Lorena. Fuggì una mattina innanzi giorno dalla porta di dietro di Palazzo Vecchio, e messo di peso in una lettiga. E prendendo la strada da' librai, da' forni, da via del Cocomero, per il Maglio e lungo le mura, uscì per la porta a San Gallo accompagnato solamente dal Conte De’ La Tour suo genero tornandosene in Lorena a Nancy sua patria". Il piano della nuova reggenza fu stabilito il 21 Agosto 1757 e il 31/8/’57 il Maresciallo Antonio Ottone Botta Adorno fu chiamato a sostituire il conte di Rochecourt.»
Continua il Conti:
«l'annuncio venuto il 31 Gennaio 1759 della morte, avvenuta a Nancy in Lorena sua patria del Conte Emanuele di Rochecourt, parve un secondo miracolo anche a maggior distanza, operato dalla scoperta della Madonna dell'Impruneta».
Ora occorre tener presente che la Madonna dell’Impruneta è dipinta su tela applicata su tavola e non direttamente su tavola. Per questo l'esperienza insegna che una tela dipinta si screpola col tempo e il colore può cascare e lasciare scoperta la trama, che diventa nera se esposta per esempio al fumo delle candele. Non rientra in questo caso la nostra venerata Immagine perché era coperta dalle mantelline e non vi poteva arrivare il fumo. Per questa ragione il proposto Giugni non può aver trovato una tavola nera! Dalle relazioni fornite da un archivista quale era il Conti e quindi da ritenere attendibili si possono trarre le seguenti importanti conclusioni: il Principe Marco Di Craon arrivò a Firenze il 3 Giugno 1737 ed ebbe per aiuto il Conte Emanuele di Rochecourt della classe dei legali; nel 1752 morì ed era in Lorena fino dal 5 Maggio 1749. Rochecourt andò in Lorena fino dal 1757 e nel 1758 non era più ne Presidente di Reggenza né tantomeno a Firenze. Morì nel Gennaio 1759, anche lui in Lorena. Non poteva perciò incutere ... timore al Proposto d’Impruneta. Il Conti non dice che il 24 Dicembre 1758, tolte le mantelline il quadro era talmente sbiadito da non vedersi l’Immagine. Si ritenga quindi delle due relazioni che quella esatta sia la seconda.
In anni recenti sono stati sollevati dubbi sull'autenticità della Venerata Immagine della Madonna dell'Impruneta. La polemica sulla sua originalità è nata a seguito del rinvenimento e della pubblicazione di un documento antico nel quale si sostiene che l'icona della Madonna dell'Impruneta sarebbe in realtà opera del pittore Ignazio Hugford, eseguita nella metà del Settecento, e che nulla sarebbe rimasto della pittura originale. Il documento riferisce inoltre del presunto comportamento truffaldino del pievano dell'epoca il quale fa segretamente ridipingere la Madonna per ingannare le autorità dell'epoca ed evitare che venga compromesso il culto della Madonna dell'Impruneta. Tale documento ha malauguratamente trovato un certo credito anche nell'ambiente degli studiosi. Già l'Arch. Ferdinando Rossi, responsabile della ricostruzione e del restauro post-bellico della Basilica confermava l'autenticità dell'Icona della Madonna, sulla base sia degli esami radiografici condotti sulla tavola che sul rinvenimento di materiale documentale relativo ad un precedente restauro dell'Icona svolto fra il 1917 ed il 1925 dal pittore Fabrizio Lucarini (vedi la voce "Il restauro del tempietto della Madonna" contenuto nel libro "Impruneta" di Don Vasco Bianchini). I recenti interventi di restauro dell'icona, avvenuti nel 2011 e nel 2013 hanno permesso tuttavia di chiarire con certezza che quanto affermato dal documento è falso. È vero che nel Settecento il pittore Ignazio Hugford intervenne sull'icona, ma non per ridipingerla, bensì per attuare un intervento di restauro che, per quanto importante, è risultato assai rispettoso dell'originale; le accurate indagini condotte sull'icona con i mezzi che la tecnica mette oggi a disposizione dei restauratori (luce radente, riprese radiografiche, indagini in luce ultravioletta e infrarossa, indagini chimiche e fisiche, ecc.) ha consentito di convalidare l'originalità del dipinto, che risale al XII secolo (ma tracciato probabilmente sulla base di un modello ancora più antico del V-VI secolo) e di mettere in evidenza le aree del dipinto che sono state oggetto in passato di interventi di restauro.
Prima ancora che fossero disponibili queste indagini scientifiche, lo scrittore imprunetino Ferdinando Rossi aveva già confutato con questo articolo la tesi sostenuta nel documento, basandosi su argomenti storici e documentali. Riportiamo pertanto volentieri questo interessante contributo.
Sulla polemica in atto circa I‘autenticità o meno della pittura relativa alla Tavola della Madonna dell'Impruneta, desidero esporre i risultati di una ricerca storica rivolta a convalidarne l'autenticità, peraltro confortata da recenti esami radiografici. Questa era stata messa in dubbio dopo il ritrovamento di uno scritto pubblicato anche recentemente in occasione della inaugurazione del museo del Tesoro di Santa Maria all’Impruneta [1987], che riporto integralmente:
"il conte Richecourt, supremo comandante per l’Imperatore Francesco l di Lorena e granduca di Toscana, e avendo sentito celebrare la Madonna dell’Impruneta per i miracoli fatti e per le grazie ricevute dai fedeli, desiderò di vederla, e a tal uopo fece avvisare il Pievano dei Marchesi Giugni che in un determinato giorno sarebbe andato all’Impruneta, e ciò segui nell'anno 1758. Il prudente Pievano sentita l'importanza di una tal visita crede' suo dovere di vederla prima di lui (giacché ab antiquo nessuno l'aveva veduta e molto più scoperta, avendo questa immagine sette mantelline una sopra all’altra) quindi è che a chiesa serrata, e segretamente la fece scoprire; ma qual fu la sua sorpresa trovando una asse quasi nera, sopra la qual credesi fosse dipinta, e che non distingueasi neppure le traccie della sopposta Madonna. In tal emergenza qual partito prendere? Si e il Conte di Richecourt la vede, è certo che faceva bruciare I’asse, e la devozione alla Madonna dell’Impruneta sarebbe cessata fino dal quel tempo, il migliore fu quello di farla subito ridipingere, e fu scelto per quest'effetto il signore Ignazio Hugford, che oltre a essere stato un buon pittore dei suoi tempi, univa eziandio molta religione, e pietà come attestano i suoi discepoli da me benissimo conosciuti; il quale portatosi alla Impruneta in casa del Pievano Giugni, dipinse la Madonna con Bambino Gesù nella maniera antica e cosi fu rimediato a questo inconveniente, senza scandalo, ed è quella che tuttora esiste in detta chiesa creduta popolarmente dipinta da San Luca".
In netto contrasto con quanto afferma questo documento, è quanto si legge nel volume "Firenze dopo i Medici" (ed. R. Bemporad e figlio, Firenze 1921) di Giuseppe Conti:
«Per le continue insistenti piogge specialmente dal 1° Dicembre, (1758) il dì 6 I’Arno, un’ora dopo la mezzanotte, crebbe di tal sorta che tutte le fogne dettero fuori e I’acqua allagò dalla Piazza del grano fino alla Porta della dogana. ... Si era pensato anche di far portare di nuovo a Firenze la Madonna dell’Impruneta ... Non fu sordo a tanta calamità il Pievano dell’Impruneta Marchese Ottavio Giugni, il quale, col consenso del Senatore Francesco Buondelmonti, patrono di detta chiesa, "domando ed ottenne grazia dalla Reggienza di scoprire la Sacra Immagine che da immemorabile tempo non era stata scoperta; dimodoché ciascuno adorava per l’avanti con fede, non sapendo ciò che racchiuso stava in quel tabernacolo. Fu affisso per la città i cartelli di un tale scoprimento da seguirsi nelle prima festa di Natale fino all’ultima festa".
Cosicché il Pievano Giugni - il 24 Dicembre 1758 - "fece levare tutti quei mantellini, e altro che mai si toccava". Le gioie che erano poste nel mantellino antico che stava sotto gli altri e che gli rimaneva quando quelli si levavano, senza mai scoprir l’immagine, il Giugni le fece mettere sul petto della Santissima Vergine; e postovi sopra un cristallo, la fece esporre alla pubblica vista all’altar maggiore. Il giorno dopo Ceppo fu il primo dei quattro giorni nei quali la Madonna venne scoperta ed esposta. Non si può descrivere il gran concorso di pubblico che in detto tempo andò in visita all’Impruneta non solo da Firenze, "ma da tutte le parte dello Stato".»
Questo non direbbe ancora niente, poiché nel documento precedente non si indica in qual giorno del 1758 il pittore giunse a Impruneta.
Ma sentiamo quant’altro ci racconta il Conti:
«La mattina del 6 Aprile 1757 venne a Livorno la notizia che il marchese senatore Carlo Ginori - Governatore di quella città fino dal 1747 era stato colpito da un accidente ... mori il di 11 successivo».
Prima di questo evento, anche il Rochecourt era stato evidentemente colpito da accidente, cosi come si evince dal seguito del racconto del Conti:
«Antecedentemente alla morte del Ginori, dopo il primo accidente il Rochecourt fu favorito da altri due ... ma il terzo colpo, più forte degli altri, per quanto gli lasciasse la mente libera, lo fiaccò in modo che non poté riprendere la primitiva attività né dedicarsi agli affari di Stato ... e così fu costretto a domandare la dimissione dal Governo, che venne accettata concedendogli il permesso di tornarsene in Lorena. Fuggì una mattina innanzi giorno dalla porta di dietro di Palazzo Vecchio, e messo di peso in una lettiga. E prendendo la strada da' librai, da' forni, da via del Cocomero, per il Maglio e lungo le mura, uscì per la porta a San Gallo accompagnato solamente dal Conte De’ La Tour suo genero tornandosene in Lorena a Nancy sua patria". Il piano della nuova reggenza fu stabilito il 21 Agosto 1757 e il 31/8/’57 il Maresciallo Antonio Ottone Botta Adorno fu chiamato a sostituire il conte di Rochecourt.»
Continua il Conti:
«l'annuncio venuto il 31 Gennaio 1759 della morte, avvenuta a Nancy in Lorena sua patria del Conte Emanuele di Rochecourt, parve un secondo miracolo anche a maggior distanza, operato dalla scoperta della Madonna dell'Impruneta».
Ora occorre tener presente che la Madonna dell’Impruneta è dipinta su tela applicata su tavola e non direttamente su tavola. Per questo l'esperienza insegna che una tela dipinta si screpola col tempo e il colore può cascare e lasciare scoperta la trama, che diventa nera se esposta per esempio al fumo delle candele. Non rientra in questo caso la nostra venerata Immagine perché era coperta dalle mantelline e non vi poteva arrivare il fumo. Per questa ragione il proposto Giugni non può aver trovato una tavola nera! Dalle relazioni fornite da un archivista quale era il Conti e quindi da ritenere attendibili si possono trarre le seguenti importanti conclusioni: il Principe Marco Di Craon arrivò a Firenze il 3 Giugno 1737 ed ebbe per aiuto il Conte Emanuele di Rochecourt della classe dei legali; nel 1752 morì ed era in Lorena fino dal 5 Maggio 1749. Rochecourt andò in Lorena fino dal 1757 e nel 1758 non era più ne Presidente di Reggenza né tantomeno a Firenze. Morì nel Gennaio 1759, anche lui in Lorena. Non poteva perciò incutere ... timore al Proposto d’Impruneta. Il Conti non dice che il 24 Dicembre 1758, tolte le mantelline il quadro era talmente sbiadito da non vedersi l’Immagine. Si ritenga quindi delle due relazioni che quella esatta sia la seconda.
"IL RESTAURO DELL'IMMAGINE DELLA MADONNA DEL 2011"
Dal luglio al settembre 2011 l'Icona della Madonna dell'Impruneta è stata sottoposta ad un intervento di studio e di restauro nel laboratorio della restauratrice Lisa Venerosi Pesciolini. L'intervento ha permesso di condurre accurate indagini sull'Immagine e verificarne così l'originalità, l'epoca di realizzazione, la presenza e entità degli interventi di restauro avvenuti nel corso dei secoli e lo stato di conservazione.
Le indagini hanno potuto appurare che l'icona risale al XII secolo ed è stata probabilmente dipinta a partire da un modello ancora più antico, risalente al V-VI secolo. Nel corso degli anni l'immagine, portata decine di volte in processione, è stata sottoposta a quattro interventi di restauro di cui l'ultimo e più importante risale al 1758 ad opera del pittore Ignazio Hugford. Tuttavia è stato possibile appurare che circa il 40% della superficie pittorica è tuttora quella originale e che gli interventi successivi sono stati rispettosi dell'originale; l'aspetto dell'Icona è pertanto tutt'ora fedele all'originale antico. L'entità della superficie originale presente è inoltre tale da consentire, in un futuro intervento di restauro, di ricostruire l'immagine originale in tutta la sua interezza.
Si riportano di seguito tre articoli del giornalista Marco Ferri pubblicati su "Il Giornale della Toscana", che illustrano con efficacia le fasi del restauro dell'Icona della Madonna dell'Impruneta del 2011. Per scaricare i file pdf clicca sui link seguenti:
29 Giugno 2011 - VA IN RESTAURO LA MADONNA DELL'IMPRUNETA
20 Agosto 2011 - MADONNA DELL'IMPRUNETA: ECCO LE PRIME IMMAGINI DEL «MIRACOLOSO» RESTAURO
27 Settembre 2011 - IMPRUNETA: LA «MADONNA» TORNA A CASA
Le indagini hanno potuto appurare che l'icona risale al XII secolo ed è stata probabilmente dipinta a partire da un modello ancora più antico, risalente al V-VI secolo. Nel corso degli anni l'immagine, portata decine di volte in processione, è stata sottoposta a quattro interventi di restauro di cui l'ultimo e più importante risale al 1758 ad opera del pittore Ignazio Hugford. Tuttavia è stato possibile appurare che circa il 40% della superficie pittorica è tuttora quella originale e che gli interventi successivi sono stati rispettosi dell'originale; l'aspetto dell'Icona è pertanto tutt'ora fedele all'originale antico. L'entità della superficie originale presente è inoltre tale da consentire, in un futuro intervento di restauro, di ricostruire l'immagine originale in tutta la sua interezza.
Si riportano di seguito tre articoli del giornalista Marco Ferri pubblicati su "Il Giornale della Toscana", che illustrano con efficacia le fasi del restauro dell'Icona della Madonna dell'Impruneta del 2011. Per scaricare i file pdf clicca sui link seguenti:
29 Giugno 2011 - VA IN RESTAURO LA MADONNA DELL'IMPRUNETA
20 Agosto 2011 - MADONNA DELL'IMPRUNETA: ECCO LE PRIME IMMAGINI DEL «MIRACOLOSO» RESTAURO
27 Settembre 2011 - IMPRUNETA: LA «MADONNA» TORNA A CASA
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